Collegio di Perfezione n. 005 “NUT” – Camera di IX° grado “MAAT” n. 039

Collegio di Perfezione n. 005 “NUT” – Camera di XX° grado “NETJERDUAI n. 040

Collegio di Perfezione n. 005 “NUT” – Camera di IV° grado “NUN” n. 038

Collegio di Perfezione n. 005 “NUT” – Oriente di Taranto nella valle del Galeso

Nut, dea del cielo, era immaginata con il corpo di una donna che, posta ad arco sulla terra, la toccava con la punta delle mani e quelle dei piedi. Secondo il mito ingoiava il sole la sera per partorirlo la mattina seguente in un eterno ciclo di morte e di rinascita. Questo fece di lei il simbolo per eccellenza della rigenerazione eterna. Al contrario di tante altre antiche culture, gli egizi identificavano il cielo con una donna – la dea Nut In realtà l’idea del cielo come donna ha una forte valenza simbolica e una sua  intrinseca coerenza che è legata al concetto di “grande madre” e di rinascita. Il cielo quindi è donna poiché custodisce in sé il dio del sole Ra che, dopo aver viaggiato all’interno del suo corpo durante le ore della notte, è pronto a rinascere sul mondo. Anche il colore rossastro dell’alba assumeva rilevanza in tale simbologia: gli sgargianti colori dell’inizio del giorno richiamavano simbolicamente il sangue del parto. Proprio perché strettamente connessa all’idea di rinascita, l’immagine di Nut veniva spesso posta sui soffitti della camera del sarcofago di alcune tombe della Valle dei Re, necropoli scelta dai sovrani del Nuovo Regno (1539-1069 a.C.) per il loro eterno riposo.

Collegio di Perfezione n. 004 “ABU SIMBEL” – Camera di IX grado “CAVALIERI ELETTI DEI NOVE” n. 042

Collegio di Perfezione n. 004 “ABU SIMBEL” – Camera di IV grado “SEKHMET” n. 023

Collegio di Perfezione n. 004 “ABU SIMBEL” – Oriente di Milano nella valle dell’Olona

Tempio di Abu Simbel

Il Tempio di Abu Simbel, insieme alle Piramidi di Giza, è una delle costruzioni più imponenti e spettacolari dell’Egitto. Il complesso è composto da diversi edifici tra cui spicca in modo particolare il Tempio di Ramses II, un autentico simbolo egiziano, con la sua colossale facciata formata da quattro statue alte venti metri, direttamente scolpite nella roccia.

L’interno del Tempio non è meno sorprendente: enormi sale decorate con affreschi, perfettamente conservati, adornate da statue imponenti che cedono il passo a sale di dimensioni minori che ci guidano in un viaggio tanto artistico quanto mistico.

Due volte all’anno, nei giorni compresi tra il 19 e il 21 dei mesi di febbraio e ottobre, grazie ad un perfetto calcolo astronomico degli abili ingegneri che lo progettarono, il sole attraverso il Tempio all’alba e illumina le statue delle divinità.

Accanto a esso si trova il Tempio di Nefertari, la sposa prediletta del faraone. Di dimensioni minori ma di similare bellezza, la facciata di questo Tempio è composta da sei figure scolpite nella roccia (vedi foto) e il suo interno non ha nulla da invidiare al tempio principale.

 

Collegio di Perfezione n. 001 “OUROBOROS” – Oriente di Roma nella valle del Tevere

 

La più antica descrizione di questo simbolo (denominato anche uroboro e oroboro) è contenuta negli Hieroglyphica, unica trattazione sistematica sui geroglifici egiziani giunta dall’antichità. Essa arrivò in Europa nel 1422, grazie ad un manoscritto portato a Firenze dall’isola di Andros dal viaggiatore fiorentino Cristoforo Buondelmonti. Opera redatta in greco, gli Hieroglyphica videro la luce probabilmente negli ultimi ambienti pagani dell’Egitto del V secolo d.C., quando ormai la civiltà egizia era ormai scomparsa e con essa la comprensione del suo sistema di scrittura.  L’ouroboros è uno dei modi che gli egiziani hanno di rappresentare l’eternità: “Per indicare l’eternità (gli Egiziani) rappresentano il sole e la luna: essi sono infatti elementi eterni. Quando vogliono invece esprimere diversamente l’eternità, raffigurano un serpente con la coda nascosta sotto il resto del corpo, chiamato ureo in egiziano, basilisco in greco […]”. Nell’antico Egitto, l’ouroboros può rappresentare il serpente primordiale, detto Sata che circonda il mondo proteggendolo dai nemici cosmici. Così recita il Libro dei Morti: “Io sono Sata, allungato dagli anni, io muoio e rinasco ogni giorno, Io sono Sata che abito nelle più remote regioni del mondo”. Questo serpente rappresenta il tempo che si riproduce perpetuamente. Racchiude in sé l’idea di movimento, di continuità, di autofecondazione e di conseguenza di eterno ritorno. Nato iconograficamente dalla cultura egiziana, il serpente che divora la propria coda diviene ben presto simbolo esoterico molto frequente nel mondo antico. Nella produzione artistica funeraria questo particolare serpente è spesso associato con altri simboli indicanti l’eternità, come la sfera alata, o con altri indicanti il passaggio, il cambiamento di stato, come la farfalla. E’ naturale che un simbolo iconograficamente così vicino al cerchio, quindi alla rappresentazione più immediata e più semplice dell’eternità, abbia conosciuto una grande fortuna nelle necropoli europee, in particolare sui monumenti della prima metà dell’Ottocento, legati ad una cultura fortemente sedotta dal fascino dell’antico.

Collegio di Perfezione n. 001 “OUROBOROS” – Camera di IX grado “ANAEL” n. 030

Collegio di Perfezione n. 001 “OUROBOROS” – Camera di IV grado “URIEL” n. 024