Iside tra noi – prima parte

“Iside tra noi”

Sotto l’acqua e sott’al vento
sotto omne malo tempo

PARTE PRIMA

L’isismo ha lasciato molte più tracce di quanto si possa immaginare nelle tradizioni religiose e popolari, a cominciare dal culto mariano della Mater lactans, dalle litanie, dai carri di carnevale (carrus navalis) dalle vare che trasportano in processione i simulacri dei Santi, fino ad altre espressioni della cultura tradizionale di cui si ha ancora memoria. Per tracciarne una mappa cominciamo da quelle beneventane.

Secondo una diffusa opinione la magia di Iside troverebbe il prosieguo più singolare nelle Janare di Benevento, città che ebbe un iseo e un canopo, celebri per struttura architettonica e apparato decorativo, e che Hans Wolfgang Müller, che ad essi ha dedicato un fondamentale studio, giudica “la testimonianza più omogenea esistente su suolo italiano”.

Per comprendere come e perché le sacerdotesse di questa dea si siano trasformate nelle streghe che si riuniscono sotto il noce, occorre riassumere brevemente la storia della città, che è a strati.

Quello più antico data al X secolo a. C., quando vi si stabilirono i Sanniti, bellicosa tribù italica che vi giunse seguendo il toro bianco del Ver sacrum. Scelto un territorio lambito da due fiumi (il Calore e il sabato) vi fondarono l’arce di Maloenton, un nome misterioso che sembra faccia riferimento al radicale indoeuropeo mal (pietra) e che pertanto stia a significare “città fondata sulla pietra”.  Popolo fortemente religioso rivolgeva la sua pietas ad un universo soprannaturale che si manifestava nei loca sacra, (boschi, acque, montagne) popolati di divinità e spiriti.

L’espressione più significativa della loro cultura resta però l’esercito, guidato dal Meddix Tuticus, più sacerdote che stratega, nei cui ranghi era compresa la formidabile legio Linteata, corpo militare scelto ed iniziatico, formato da giovani aristocratici, educati fin dall’infanzia a considerare l’eroismo un atto di sacratio deorum. Livio parla di splendide armature, di tuniche colorate, di cimieri piumati e dell’uso di tingersi il viso di rosso per incutere terrore al nemico.

Il secondo strato ha inizio intorno al IV secolo a. C. quando i Romani cominciarono a pensare di sottometterli, cosa assai ardua, tanto che ci provarono per tre secoli senza riuscirci mai del tutto.

Dopo un primo round alle Forche Caudine (321 a.C.) dove i Sanniti obbligarono i Romani, vinti e “inermes cum singulis vestimentis” alla disonorevole subjugatio, la guerra continuò tra alterne vicende fino a quando dal 91 costituirono una lega con gli altri popoli italici, fondarono una repubblica che chiamarono Italia, con capitale a Corfiniumn e, per far vedere chi erano, schierarono la rutilante legio Linteata. Terminò che tra morti eroiche da ambo le parti, si trovò un accordo e i Sanniti ottennero la cittadinanza de iure che in fondo era quello che volevano.

La terza fase comincia con Flavio Belisario che, durante la guerra greco-gotica (535 – 554) tentando di controllare i territori grecofoni peninsulari con le truppe mercenarie, vi stanziarono un contingente militare formato da Longobard, i quali qualche anno dopo con il nobile arimanno Zotone, ne fecero la capitale del ducato più meridionale della Langobardia minor.

Sanniti e Longobardi, avendo caratteri e, in un certo senso anche cultura, molto simili, vissero in perfetto accordo, tanto che ancora oggi, per alcune consuetudini e tradizioni, molto diverse da quelle campane, si parla di enclave sannitico longobarda.

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