Il Tetragramma Biblico, la sua sacralità.

«In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da Acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne, quel che è nato dallo Spirito è Spirito» (Giovanni 3,3-5)

Il Tetragramma biblico, Iod, He, Vau, He, יהךה,da leggere da destra verso sinistra, è la sequenza delle quattro lettere ( greco: tetragràmmaton; τέτρα, «quattro» e γράμματα,
«lettere») ebraiche Iod, He, Vau, He, che compongono il nome proprio di Dio (lat. theonymum) utilizzato nella Bibbia ebraica, il Tanakh, o per i cristiani l’Antico Testamento, in cui «il nome ricorre più di seimilaottocento volte» (da Christine Hayes introduction to the Bible, Yale University, pagg 38)
La traslitterazione più comune delle quattro lettere del Tetragramma è: YHWH, seguendo la trascrizione secondo il sistema alfabetico a noi comune diverso dall’originale, tendente a riprodurre lettere con lettere, (da John A. Cook Bibhical Hebrew, A student Grammar, PDF 2009)
Dato che nella lingua ebraica non si scrivono le vocali, il tetragramma biblico è costituito unicamente da consonanti.
Fin dall’epoca persiana, per un’interpretazione restrittiva del secondo dei dieci comandamenti, gli Ebrei considerano il tetragramma come troppo sacro per essere pronunciato e perciò la corretta vocalizzazione (l’interpolazione di vocali alle consonanti) delle quattro lettere del tetragramma è andata col tempo perduta. L’Ebraismo, quindi, ritiene persa la corretta pronuncia del nome sacro.
La Halakhah (Legge ebraica) prescrive che il nome sia pronunciato come Adonai (quest’ultimo è anch’esso considerato un nome sacro, da usarsi solamente durante le preghiere), prescrivendo anche che per farvi riferimento si debba usare la forma impersonale HaShem (“il Nome”).
La parola è invece sostituita con altri termini divini, sia che si desideri invocare o fare riferimento al Dio di Israele. Un’altra forma sostitutiva ebraica comune, oltre alle già citate, è hakadosh baruch hu (“Il Santo Benedetto”), ( R.T.A. Murphy in the new Catholic Encyclopedia, vol.7, New York Gale, 2003)
Quindi, questa è una parola terribile, impronunciabile, che serve ad indicare l’Ente Supremo ed Assoluto.
A Gerusalemme il nome veniva invocato dal Sommo Sacerdote una sola volta all’anno, nel giorno di Yom Kippur, nel Sancta Sanctorum del Tempio.
Tale invocazione serviva a mantenere e rinnovare il legame tra il cielo e la terra: Pronunciare il nome ineffabile era prerogativa del Sommo Sacerdote; solo sua, tramandata dal suo predecessore ad egli stesso.
E solo a lui.
L’antica presenza del tetragramma è confermata da San Girolamo che dopo aver spiegato i dieci nomi ebraici di Dio (El, Elohim, Elôah, Eliôn, Sabaôth, Asher yeheyeh, Adonai, Jah, JHVH, Shaddai), sottolineò la totale incomprensione del senso e della pronuncia del tetragramma, ricordando come il nono [nome di Dio] fosse composto di quattro lettere, fosse considerato ineffabile e si scrivesse con le lettere iod, he, vau, he; alcuni però non lo avevano decifrato a motivo della rassomiglianza dei segni e, quando lo trovavano nei libri greci, lo trascrivevano in caratteri greci (π ι π ι) e lo leggevano “PIPI” (Lettera a Marcella, XXV, Epistola di San Girolamo ad Eustochio).
Sempre San Girolamo, a proposito del Tetragramma, scrisse che “troviamo il nome del Signore di quattro lettere in alcuni libri greci scritti fino ad oggi negli antichi caratteri” (nomen Domini tetragrammaton in quibusdam graecis voluminibus usque hodie antiquis expressum litteris invenimus) (Prefazione ai libri dei Re).
Lo stesso Girolamo (o, secondo alcuni, uno Pseudo Girolamo) osservò pure che “presso gli ebrei il Nome di Dio è formato delle quattro lettere jod, he, vau, he, che suonano come il nome proprio divino, che si può leggere Jaho ed è considerato dagli ebrei impronunciabile” (nomen Domini apud Hebraeos quatuor litterarum est, jod, he, vau, he: quod proprie Dei vocabulum sonat et legi potest Jaho, et Hebraei, id est, ineffabile opinatur). (Breviarium in Psalmos, Salmo VIII).
Le vocali usate per pronunciare il Sacro Nome erano poi sconosciute dalla tradizione ebraica già ai tempi di Mosé Maimonide (1135-1204 d. C.) che ricorda come: “Nella benedizione sacerdotale il nome di Dio doveva essere pronunciato così come è scritto nella forma di Tetragramma, cioè di nome proprio. Non è però noto a nessuno come il nome fosse pronunciato, quali vocali fossero combinate alle consonanti e se alcune delle lettere capaci di duplicazione dovessero ricevere un dagesh”. (Vedi Moreh Nebukim (Guida dei perplessi), I, 62).
Lo stesso Mosé Maimonide negò la possibilità di leggere il tetragramma “secondo le sue lettere”, cioè vocalizzando le consonanti. A tal proposito il filosofo ebreo affermò che: “Nessun altro nome si chiama nome proprio (cioè shem ha-meforash) se non questo Tetragramma, che è scritto ma che non si legge come viene scritto” (Mosé Maimonide, La Guida Dei Perplessi, a cura di M. Zonta, Torino, Utet, 2003, LXI, pag. 223 ed anche Mosé Maimonide, The Guide For The Perplexed, translated from the original arabic text by M. Friedlander, 1904, second edition, LXI).
Nelle rappresentazioni della crocifissione tradizionalmente è riportato il titulus INRI, iniziali della espressione latina Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum ( Gesu’ il Nazzareno Re dei Giudei).scrittura concordata nei Vangeli canonici, di Matteo (27,37), di Luca(23,38) e di Giovanni(19,19).
Nel Vangelo di Giovanni si afferma che i capi delle tribu’ Giudee nel leggere quanto scritto sulla Croce, si recarono da Ponzio Pilato per chiedere che fosse corretto: non Gesu’ Re dei Giudei ma scrivere che egli stesso si fosse proclamato re dei Giudei, da solo. Ma Pilato esclamo’: Quod scripsi, scripsi e si rifiuto’ di correggere (Giovanni, 19, 21-22).
Piu’ recentemente, nel XX secolo, Schalom Ben-Chorin erudito esperto di tradizione ebraica, avanzo’ la sua ipotesi che la vera scritta fosse “Yeshua haNotzri uMelech ha Yehudim”, “Gesu’ il Nazzareno e il Re dei Giudei”. In questo caso le iniziali delle parole
sarebbero corrisposte esattamente con il Tetragramma Biblico dando ragione alla protesta degli Ebrei.
Giovanni nel suo Vangelo specifica che l’iscrizione INRI era si in latino ma anche in Ebraico e specifica inoltre che molti Giudei lessero questa iscrizione perché il luogo della crocifissione era vicino alla città e conferisce molta enfasi al fatto che i capi Giudei chiesero a Pilato di modificare l’iscrizione.
Ma Pilato, romano, non capi’di aver creato un problema. O forse, fece finta di non capire…
Henri Tisot esperto di lingua ebraica, afferma che grammaticalmente “Gesu’ il Nazzareno e Re dei Giudei” si scrive in modo equivalente alle nostre lettere “Yeshu Hnotsri Wmlk Hyhudim” vocalizzate “ Yeshua Hanotsri Wemelek Hayehudim” quindi acronimo “YHWH” in ebraico יהךה, il Tetragramma Sacro.
Quindi, gli ebrei vedevano l’uomo messo a morte sulla croce che aveva dichiarato di essere il figlio di D*o con il nome di D*o iscritto sopra la sua testa.
Certo, Gesu’ aveva profetizzato tale evento quando, come scritto nel Vangelo di Giovanni (8,28), affermo’ “…quando avrete innalzato (sulla Croce) il Figlio dell’uomo allora conoscerete che Io Sono (vedi quanto rivelato da D*o a Mose’ in Esodo, 3,14).
a. Il nome proprio, segreto, in alcuni esempi
Sant’ Isidoro di Siviglia nella sua opera Etimologia o origini, Libro VII Di Dio degli Angeli e dei Santi, scrive che il primo nome di Dio è El, od anche forte; D*o, infatti, non è soggetto ad infermità alcuna ma è forte ed in grado di compiere ogni cosa.
E lo stesso Dante Alighieri nel De Vulgari Eloquentia dice: “…quanto poi alla prima parola che ha fatto risuonare la voce del primo parlante, non ho la minima incertezza: a chiunque abbia la testa che funziona salta agli occhi che è stשata precisamente la parola che significa “DIO” vale a dire El…”.
Ed ancora lo stesso Poeta fa dire ad Adamo nella Commedia, Paradiso Canto XXVI, 130- 138:
“opera naturale è ch’uom favella; ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v’abbella.
Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia, I s’appellava in terra il sommo bene
Onde vien la letizia che mi fascia; e El si chiamo’ poi: e cio’ conviene, chè l’uso d’i mortali è come fronda in ramo, che sen va e altra vene.”
E Guènon ha fatto riferimento piu’ volte ai nomi I ed El.
Nella sua opera “La Grande Triade”, Renè Guènon scrive: “…la lettera Iod, prima del Tetragramma, rappresenta il Principio, di modo che è considerata come costituente da sola un nome divino: essa è d’altronde in se stessa, per la sua forma, l’elemento principale da cui sono derivate tutte le altre lettere dell’alfabeto ebraico. Occorre aggiungere che la corrispondente lettera I dell’alfabeto latino è anche, tanto per la sua forma rettilinea che per il suo valore nelle cifre romane, un simbolo dell’Unità…”.
E nell’alfabeto arabo la prima lettera alif che vale numericamente uno, ha la forma di un tratto rettilineo verticale.
Ed è almeno curioso che il suono della lettera sia lo stesso della parola cinese i che significa unità nel suo senso aritmetico. Questo carattere cinese “i” è anch’esso un tratto rettilineo ma differisce dalla I latina perché è posto orizzontalmente invece che verticalmente.
Francesco da Barberino nel suo Tractatus Amoris si è fatto ritrarre egli stesso in atteggiamento di adorazione di fronte alla lettera I, adoratore della “nona figura” come tale figura adorna l’iniziale canzone “io non descrivo in altra guisa amore” e spiega la sua famosa figurazione d’Amore (I Documenti d’Amore, volume III pag 409).
L’importanza della lettera I la nona lettera dell’alfabeto per i Fedeli d’ Amore, come descritto da Rèné Guènon circa il seguente epigramma attribuito a Dante:
“Tu che disprezzi la nona figura
E sei da men della sua precedente Va e raddoppia la sua conseguente Ad altro non t’ha fatto la natura”
Nel tempo, in questi secoli in cui l’oscurantismo della fede ha prevalso sulla Verità, i Teologi gridavano di non discutere per timore che la discussione circa i temi reali della esistenza potessero illuminare le coscienze degli uomini e con il libero esame ed analisi delle cose reali, far loro perdere la fede.
La Fede, come la descrisse magistralmente San Tommaso d’ Aquino, “è il coraggio dello Spirito che si slancia risolutazmente innanzi a sé sicuro di trovare la verità”.
E la nostra Cosmogonia mosaica, come complesso di miti, teorie, proprio di ogni popolo elaborato nelle fasi evolutive della propria cultura per rendere ragione della origine universale, si puo’ trovare racchiusa nei primi capitoli, dieci, non a caso, del Bereshit o Genesi.
…io non parlo per coloro cui bastano le formule elementari che ha assunto la dottrina giudeo-cristiana, in seguito ai postulati dei Talmudisti ebrei e dei Teologi cristiani…io rispetto profondamente questa numerosa categoria di ….ciechi intellettuali e non intendo sfiorare con il minimo dubbio la base della loro coscienza e della loro fede…” da Salvatore Attal (Soter) “ Esoterismo Biblico” ed Phoenix
Torniamo al Tetragramma…
La parola, terribile, Iod He Vau He, יהךה, su cui poggia tutto il sistema mosaico, identifica l’Ente Superiore.
In essa esiste la radice della He doppia che esprime la vita in potenza, Iside degli Egizi, mentre la Vau esprime la potenza creativa, di unione, quella che per gli Egizi era Osiride. Lo Iod a sua volta esprime la volontà intellettiva, lo Spirito.
Abbiamo quindi lo Spirito IOD, la Forza creatrice di congiunzione VAU e la Forza della Vita in potenza HE.

b. Il Simbolismo numerico associato al tetragramma
In passato ma ancora oggi in alcuni ambienti, ai numeri si attribuiva un significato trascendente; erano considerati secondo rapporti intellettuali come oggi sono rappresentativi di significati aritmetici e rapporti fisici.
Oggi i numeri si usano nella analisi matematica per esprimere rapporti numerici come una volta si usavano per esprimere rapporti e significati intellettuali.
L’alfabeto ebraico è un alfabeto alfanumerico ed a ogni lettera corrisponde un numero.
Se portiamo il Tetragramma Sacro ed alle sue lettere Iod, He, Vau, He il numero ad ognuna di esse competente, avremo: Iod=10, puo’ rappresentare l’Io-Unità Suprema, l’Uno collegato allo 0, He= 5, la metà aritmetica del 10, prodotto della opposizione a se’stesso, il non io al confronto dell’io, il binario; Vau=6, l’opposizione del non-io all’io dà luogo al manifestarsi di un terzo fattore anche per sommazione dell’1 con il 5= 6, la Vau.
La reazione degli opposti genera il terzo termine, unione padre e madre nel figlio.
Questo è l’Essere, che esercita una azione universale anche di tipo materiale, nel mondo.
Il secondo He del Tetragramma Sacro rappresenta l’Essere, Unità Assoluta nella sua azione sulla natura, nell’universo vivente.
Del resto per sottolineare l’importanza del significato simbolico dei numeri collegati alle lettere, l’alfabeto ebraico (lingua sacra), l’Alefbet, è composto da 22 lettere divise in 3 gruppi composti ognuno da 7 lettere con in piu’ 1 lettera sintetica finale. Ed anche 22 sono i suoni espressi nell’alfabeto fonico egizio.
Come descritto nel testo giudaico Sefer Yetzirah, delle 22 lettere ebraiche, 3 sono “madri”, 7 sono “doppie” e 12 sono lettere “semplici”.
Le 3 “madri”, corrispondono ai 3 elementi Aria Acqua e Fuoco (l’ elemento Terra è inerte e non è associato ad alcuna lettera visto che il mondo della materia è associato alla Sephora Malkuth), e costituiscono il principio della Trinità corrispondente ai 3 piani, Mentale (Aleph), Astrale o Animico (Mem) e Fisico con la manifestazione della Potenza Creatrice (Shin).
Aleph la prima lettera dell’alfabeto corrisponde alla Ragione Creatrice; Mem la tredicesima lettera dell’alfabeto corrisponde alla Morte; Shin la ventunesima lettera, chiude il ciclo della manifestazione indicando l’involuzione alla quale segue l’evoluzione rappresentata dalla ultima lettera Tau, ventiduesima.
Le lettere “doppie” dell’alfaberto ebraico, 7, sono Bet, Gimel, Dalet, Kaf, Peh, Resh, Tav, chiamate doppie perché corrispondono a 7 coppie di virtu’ e vizio corrispondente;
Ma anche possono rappresentare nel microcosmo umano le 7 porte od orifizi del corpo umano, come ad esempio, le due lettere Beth e Caph per i due occhi, Phe e Ghimel le due orecchie.
Le 12 lettere “semplici” sono He, Vau, Zayin, Chet, Teth, Yod, Lamed, Nun, Samekh, Ayin, Tsade, Qof, corrispondono ai 12 segni zodiacali e ricordano i limiti entro i quali la vita umana si svolge…
c. La Ghematria
Dobbiamo accennare brevemente alla Ghematria.
Cosa è la Ghematria? La Ghematria rappresenta la numerologia della Kabbalah.
Essa assegna valori numerici alle parole scritte in lingua ebraica. Questo sistema afferma che parole o frasi con valore numerico identico possano essere correlate e ogni lettera ebraica ha un valore numerico definito e puo’ essere usata in luogo del numero stesso.
Grazie al valore numerico assegnato alle lettere dell’alfabeto ebraico, è nata la ghematria, esegesi biblica basata sul valore numerico di parole presenti nella Bibbia.
La parola Ghematria deriva da un termine greco che significa “calcolo”.
La Ghematria (Ghimel-Yod-Mem-Tet-Resh-Yod-Aleph) compare nella .letteratura rabbinica durante il periodo talmudico e midrashico (circa 2000 anni fa).
La Ghematria è un potente strumento interpretativo della Torah, insieme alla Temurah, con le sue forme semplici Atbash, Avgad e Albam, ed a Notarikon, gli altri due metodi antichi usati dai Cabalisti per ordinare parole e frasi della Torah.
Si basa sulla chiara ed inequivocabile equivalenza tra le 22 lettere dell’alfabero ebraico e determinati numeri interi.
Le corrispondenze: lettera Aleph valore numerico 1; Bet valore 2; Gimel valore 3; Daleth valore 4; He valore 5; Vav valore 6; Zajin valore 7; Heth valore 8;;Teth valore 9; Jude valore 10; Kaph valore 20; Lamed valore 30; Mem valore 40; Nun valore 50; Samech valore 60;
Ajin valore 70; Peh valore 80; Tsade valore 90; Qoph valore 100; Res valore 200; Shin valore 300; Taw valore 400; Kaph finale valore 500; Mem finale valore 600; Num finale 700; Peh finale valore 800; Tsade finale valore 900 ( le parole Kaph, Mem, Nun, Peh, Tsade ( chiamate Menantzepakh) quando compaiono alla fine di una parola sono scritte in modo diverso e vengono chiamate Sofiot, finali appunto).
Il calcolo della Ghematria di una determinata parola ebraica corrisponde alla somma di tutti i numeri/valori posseduti dalle lettere che compongono la parola.
Rappresentazione ghematrica del Tetragramma coi suoi valori numerologici: il valore ghematrico del Tetragramma lineare è 26 (10+5+6+5); יהךה,
Se consideriamo tutte le lettere del Tetragramma inserite nel “triangolo” della Tetraktys pitagorica, con questa rappresentazione si può ottenere il numero “72”, che è un altro numero importante nelle Scritture.

Come noto, la Tetractys (greco: τετρακτύς) è una figura triangolare composta da dieci punti disposti in quattro file: uno, due, tre e quattro punti in ogni riga, che è la rappresentazione geometrica del quarto numero triangolare. Come simbolo mistico, era molto importante per il culto segreto del pitagorismo.
Il numero 72 che rappresenta il Tetragramma è il numero dei 72 attributi di D*o.
Ed il numero 72 è il numero dei Nomi di D*o che si trovano nel libro Biblico dell’Esodo 14:19-21. Si tratta di tre versi consecutivi, ciascuno dei quali contiene precisamente 72 lettere, un fenomeno piuttosto raro. Le 72 lettere che compongono ciascuno dei tre versi del brano possono a loro volta essere disposte come 72 sequenze di 3 lettere ciascuna. Da ciò derivano i 72 Nomi di Dio.

Vedi la costituzione dei 72 nomi formati dai 3 versetti del Capitolo 14 dell’Esodo, versetti 19-20- 21.

 

 

 

 

I versetti 19-20-21 seguendo il testo ebraico si compongono, ciascuno, di 72 lettere. Prendendo la prima lettera del versetto 19, l’ultima del 20 e la prima del 21 e cosi via, si estraggono gruppi di 3 lettere che determinano gli attributi dell’Angelo: 72 gruppi di 3 lettere rappresentanti gli attributi delle virtu’ divine.
Aggiungendo ad ognuno dei Nomi Divini il suffisso EL oppure IAH, si ottengono i 72 nomi degli Angeli quindi composti da 5 lettere contenente il nome Divino ed il termine EL, D*o al maschile oppure IAH espressione al femminile, in questo caso piu’,propriamente la virtu’ intrinseca della Divinità.

d. Cenni di Angelologia
Secondo la Cabala, come descritto dall’Ordine ermetico dell’alba dorata, associazione esoterica del XIX secolo, ogni coro di angeli della gerarchia ebraica è comandato da un arcangelo ed è in corrispondenza con uno dei sephirot.

Rango Coro di Angeli Traduzione Arcangelo Sephirah
1 Hayot Ha Kodesh Animali Santi Metatron Keter
2 Ophanim Ruote Raziel Chokmah
3 Erelim Troni Tzaphkiel Binah
4 Hashmallim Gli Elettrici Tzadkiel Chesed
5 Seraphim Gli Ardenti Khamael Gevurah
6 Malakhim Messaggeri, angeli Raffaele Tipheret
7 Elohim Dei Haniel Netzach
8 Bene Elohim Figli divini Michele Hod
9 Cherubini I Forti Gabriele Yesod
10 Ishim Persone Sandalphon Malkuth

Un primo accenno alle Gerarchie si ha nell’Antico Testamento, dove gli angeli, pur comparendo all’inizio come semplici controfigure di Jahvè, ed acquistando solo in seguito i connotati di entità distinte nel sogno di Giacobbe appaiono posizionati su una scala, di 72 scalini, che unisce il cielo alla terra.
La loro presenza sarà più esplicita negli scritti ebraici diffusi fra il III secolo a.C. e il V secolo successivo, quali Hekhalot, ed il Libro di Enoch, dove l’ascesa al cielo dell’omonimo patriarca è descritta come l’attraversamento di successive schiere angeliche fino alla visione beatifica del Nome
La figura degli angeli, tuttavia, potrebbe avere anche un’origine pre-biblica, nutrendosi di antiche conoscenze sapienziali, astrologiche, ed esoteriche riguardanti esseri divini e soprannaturali, appartenenti alle culture persiana, assiro- babilonese, egiziana, spogliandosi in seguito delle diverse connotazioni politeistiche.
All’inizio dell’era cristiana l’angelologia veniva coltivata soprattutto dagli gnostici. Paolo di Tarso, pur polemizzando contro costoro, rappresentò la fonte principale del Nuovo Testamento da cui attingerà la futura angelologia cristiana utilizzando i suoi stessi accenni (Rom 8,38-40, 1 Cor 15,24, Col 1,16, Ef 1,21). Il testo di riferimento più famoso su questo tema sarà appunto il De coelesti hierarchia. Occorre considerare inoltre i contributi della filosofia classica e neoplatonica, tra cui il concetto di dynamis della metafisica di Proclo, negli influssi sull’angelologia cristiana.
La Chiesa cattolica cercò di limitare il culto degli angeli ai tre soli citati nella Bibbia, dirigendo la pietà dei fedeli solo verso l’angelo custode. Si deve in ogni caso a Papa Gregorio la diffusione in Occidente delle gerarchie angeliche descritte dallo Pseudo-Dionigi l’Areopagita, anche se collocate in un ordine diverso da quello indicato da quest’ultimo.
Nel Medioevo altri schemi furono proposti, spesso collegati a considerazioni di natura astrologica e cosmologica. Riallacciandosi ancora a Dionigi, Tommaso d’Aquino scriveva nel XIII secolo:
«Vediamo dunque, da prima, il criterio della determinazione fatta da Dionigi. In proposito va ricordato che, secondo lui, la prima gerarchia apprende le ragioni delle cose in Dio stesso; la seconda, nelle loro cause universali; la terza nell’applicazione

di esse agli effetti particolari. E poiché Dio è il fine non solamente dei ministeri angelici, ma di tutto il creato, alla prima gerarchia spetta considerare il fine; alla gerarchia di mezzo, disporre universalmente le cose da fare; all’ultima, invece, applicare le disposizioni agli effetti, e cioè eseguire l’opera. È evidente infatti che queste tre fasi si riscontrano nel processo di ogni operazione. Perciò Dionigi, che dai nomi degli ordini deriva le loro proprietà, nella prima gerarchia pose quegli ordini i cui nomi indicano un rapporto con Dio: cioè i Serafini, i Cherubini e i Troni. Nella gerarchia intermedia pose invece quegli ordini i cui nomi significano un certo universale governamento ovvero ordinamento: cioè le Dominazioni, le Virtù e le Potestà. Nella terza gerarchia infine pose quegli ordini i cui nomi designano l’esecuzione dell’opera: cioè i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli.»
(Tommaso d’Aquino, Summa teologica, I, 108, 6)
Secondo ulteriori concezioni astrologiche ed esoteriche, risalenti a remote dottrine iniziatiche e riprese anche da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia, ogni gerarchia angelica dominava su una delle nove sfere celesti ruotanti al di sopra della Terra, da intendere come le orbite planetarie di luoghi celesti di cui i diversi pianeti non sarebbero che una manifestazione riduttiva a livello fisico. È questa una delle rappresentazioni più recenti dell’angelologia sviluppatasi a partire dalla scuola antroposofica creata dall’esoterista Rudolf Steiner.
Torniamo ai numeri…
L’utilizzo di numeri per indicare le divinità era comune nel mondo mesopotamico, per esempio Anu era il numero 60, Ea il 40, Sin il 30, Ishtar il 15, ecc. Questi numeri venivano semplicemente scritti al posto del nome della corrispondente divinità. Non deve quindi sorprendere che gli Israeliti abbiano cercato di stabilire con l’aiuto della ghematria dei numeri che corrispondessero a YHWH. La soluzione più diretta è il numero 26, ma non meno importante è il 17 che si ottiene escludendo valori superiori al 9 nella corrispondenza con le lettere: in pratica il valore 10 assegnato alla lettera Y diventa 1. Questa forma compatta di ghematria era molto diffusa. Il 17, poi, poteva essere ridotto a 1+7 o semplicemente 8. Secondo Israel Knohl, che fornisce molti esempi dell’uso biblico di questi numeri, anche il rito più sacro del culto ebraico, che veniva eseguito una volta l’anno per ottenere il perdono dei peccati, era governato da questa numerologia. Il sommo sacerdote, infatti, aspergeva con il dito intinto nel sangue delle due vittime una volta il lato orientale del propiziatorio più altre sette volte il davanti (Lv 16,14-15). Il rito equivaleva ad una duplice muta invocazione del nome di YHWH[45] I numeri 17 e 26, inoltre, pervadono tutti i libri della Bibbia in un modo meno visibile, ma rigorosamente applicato quasi ovunque. Infatti, i numeri ottenuti contando le lettere o le parole delle pericopi bibliche sono quasi sempre multipli di 17 o di 26.
Accenno che la tradizione cabalistica afferma che la pronuncia corretta del tetragramma biblico è nota solo a una stretta cerchia di persone per ogni generazione, ma non ad altri. In opere cabalistiche successive a volte si fa riferimento al tetragramma col nome Havayah— in ebraico: הוי’ה?, che significa “il Nome dell’Essere/Esistenza”. Questo nome serve anche quando c’è bisogno di far riferimento specificamente al Nome scritto; parimenti, “Shem Adonoot,” che significa “il Nome d’Autorità” può essere usato per riferirsi specificamente al nome parlato “Adonai”.

Moshe Chaim Luzzatto, in ebraico: לוצאטו חיים משה, nato 1707 –deceduto 16 maggio 1746 (26 Iyar 5506, noto anche con l’acronimo ebraico RaMCHaL (o RaMHaL, ל”רמח), è stato un importante rabbino, kabbalista e filosofo ebreo italiano, riassume che l’albero del tetragramma “si dispiega” secondo la natura intrinseca delle sue lettere, “nello stesso ordine in cui appaiono nel Nome, nel mistero del dieci e nel mistero del quattro.” E in conclusione “…tutto quello che esiste si fonda sul mistero di questo Nome e sul mistero di queste lettere che lo compongono. Ciò significa che tutti gli ordini e leggi differenti sono estratti e sottesi a queste quattro lettere. Questo non è un particolare percorso ma piuttosto un sentiero generale, che include tutto ciò che esiste nelle Sefirot in tutti i loro dettagli e che mette ogni cosa sotto al suo ordine.” Zohar Kohelet (“Lo Zohar al Libro dell’Ecclesiaste”)
Un altro parallelo connette le quattro lettere del tetragramma con i Quattro Mondi: il carattere י è associato ad Atziluth, la prima ה con Beri’ah, il carattere ו con Yetzirah, e quello finale ה con Assiah.

Simbolo del mistico cristiano Jacob Böhme all’inizio del 17 ° secolo, tra cui una tetractys di lettere ebraiche fiammeggianti del Tetragrammaton).

 

 

 

 

 

 

e. La SHIN, , la rivoluzione

Jacob Bohme, (Alt Seidenberg, 24 aprile 1575 – Görlitz, 17novembre 1624) è stato un filosofo, teologo, mistico e luterano tedesco, uno dei principali esponenti del misticismo cristiano moderno, ed era detto dai suoi contemporanei «Philosophus teutonicus».
Con questa raffigurazione, fortemente simbolica, Bohme inserisce la Shin nel Tetragramma Sacro, in un cuore che ricorda e sostituisce il triangolo della Tetractys.
La rivoluzione.
Ma, prima di Bohme, la Shin era già stata rappresentata dai cristiani antichi, in ambito dei maestri gnostici come Basilide (greco: Βασιλείδης, Basilides;; II secolo d.C.) un maestro religioso dello gnosticismo cristiano delle origini.
Purtroppo, degli scritti di Basilide non è rimasto praticamente nulla e non esistono testimoni gnostici contemporanei, pertanto, per conoscere la sua dottrina, si deve fare affidamento su fonti scritte da suoi oppositori:
Ma la domanda è: perché i primi cristiani sentirono il bisogno o ebbero l’intuizione mistica di inserire proprio la Shin, all’interno della parola sacra? cosa simboleggia la Shin e qual’ é la sua funzione nella teurgia o in genere nel simbolismo esoterico? Per questo punto si deve fare un necessario passo storico: il fuoco era considerato una divinità ed un simbolo permanente, associato a quell’energia latente che governa l’entropia e il cambiamento dell’universo, già nella civiltà persiana e nella religione Zoorastriana..
Il Fuoco era chiamato,,Atah o Atarma o più spesso Atash, secondo le varianti delle tribu’ locali. La parola Atash contiene la desinenza Esh ed in ebraico può essere scritta con una Alef ed una Shin. Questo Esh, non ha un corrispondente nella lingua ebraica ma esisteva nella lingua correntemente parlata dagli ebrei ovvero l’ aramaico; il suo significato era fuoco. La parola Esh con il medesimo significato di fuoco è riemersa dopo molti secoli tra i cabalisti spagnoli.
L’Esh cabalistico è una parola di esclusivo uso esoterico, usato dai cabalisti senza avere nessun significato nella lingua ebraica. (fonte: www.martinismo.it)
L’uso della Shin come vera e propria lettera alfabetica è riconducibile già ai primi alfabeti semiti, quali il fenicio e l’ aramaico, nella sua prima forma sembra rappresentare un triangolo (piramide o montagna) con due raggi (di sole) che salgono ai latia formare una specie di W, quindi una struttura ternaria o trinitaria che si innalza verso il cielo.
Nell’alfabeto ebraico: la Shin ש e’ la ventunesima lettera ed é una delle 3 lettere madri ; rappresenta quindi una delle forze primordiali e archetipe necessarie alla creazione
Il più noto significato che viene attribuito alla ש, ’è quello di Fuoco, elemento alchemico che ha il potere di trasformare eliminando le impurità, lo strumento di purificazione per eccellenza; infatti la Shin rappresenta il fuoco con tre fiammelle, come il Roveto ardente di Mosè… e nella Formula Pentagrammatica viene dipinta di rosso.
Il fuoco interiore, quale strumento alchemico, brucia la parte impura della materia e non può intaccarne lo spirito che pertanto in concomitanza di alti livelli di purificazione emerge. Come detto da Giovanni il Battista: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e con il Fuoco”.(Luca 3.20)
In senso piu’ cabalistico, notiamo che la Shin ha una forma trinitaria e, come detto, è la lettera la n. 21 dell’alfabeto; il 21, per riduzione ghematrica, è pari al 3 e lo stesso valore numerico della lettera Shin è pari a 300.
Ricordiamoci che la Shin è collegata a Ruah Elohim (lo Spirito che aleggia sulle acque) che, sempre secondo la Ghematria, è anch’esso pari a 300; questa coincidenza numerica è molto importante per la cabala cristiana, dimostra la coincidenza del valore del Cristo con lo Spirito Santo, quasi a suggerire la funzione della Shin all’interno della Formula Pentagrammatica.
“Lo Spirito di Dio mi ha creato e il Soffio dell’Onnipotente mi ha dato la vita” (Giobbe 33:4) (notate questi numeri, 3, 3 e 4 sommazione teosofica=10)
Scomponendo la lettera si scopre che è composta da 3 yod e 4 vau (sempre 7).
La Shin, almeno per la cabala tradizionale, rappresenta il sentiero n.24 dell’Albero della Vita, sentiero che va orizzontalmente da Binah a Chochmah.
Questo è il sentiero che rappresenta il velo che rende insondabile la triade superna o triangolo divino; il limite superiore a cui tendere nella Grande Opera della Reintegrazione.
Esso è il velo che rende celate alla comprensione della logica umana le prime tre Sefirot; lì il mistero dell’Istruzione Archetipa ovvero il Verbumè inaccessibile alla comprensione della logica. E’ il Sentiero n. 24 chiamato anche percorso della coscienza immaginativa, il Chashmalo seme coscienziale.
Irraggiungibile finchè si è in vita.
e. la Shin come simbolo cristiano
Pertanto, per i cabalisti cristiani la Formula Pentagrammatica con la Shin è il simbolo della reintegrazione dell’uomo nel divino e diventa la più potente formula trasmutatoria, la vera parola di potere.
Gesù, la Shin, rappresenta l’uomo di Luce che si libera dai ceppi della carne per ricongiungersi con il suo Se Spirituale.
La Shin come Fuoco, per bruciare le scorie della imperfezione umana, giungendo allo stato di perfezione , l’oro.
Torniamo ad INRI con il significato: Igne Natura Renovatur Integra.
Per alcuni cabalisti ed alchimisti cristiani, vissuti nel periodo a cavallo tra il 1400 ed il 1600, la Shin nel Tetragramma, è interpretata come una “cristificazione” del nome ineffabile, una chiave di un processo/operazione magico trasmutatoria che si fonda sul riconoscimento della funzione del Cristo come entità trascendente ma anche con un significato immanente nel nuovo destino dell’uomo.
Il Tetragramma Sacro, nome divino impronunciabile; lo Shin, fuoco come simbolo del Riparatore; l’Uomo salvato, cosciente di questo.

Il maggior cabalista cristiano, Pico della Mirandola, scriveva nell’opera “72 Conclusioni Cabalistiche” scriveva:
5. Qualsiasi ebreo cabalista che segua i princìpi e la lettera della scienza della cabala è inevitabilmente costretto ad ammettere la trinità e ciascuna delle persone divine –Padre, Figlio e Spirito Santo- e ciò, esattamente, senza aggiunte, diminuzioni o variazioni, secondo gli assunti del cattolicesimo. Corollario: non solo chi nega la Trinità, ma anche chi la pone in modo diverso dalla dottrina cattolica, come Ariani, Sabelliani e simili, possono essere con chiarezza ricondotti all’ortodossia, se ammettono i princìpi della Cabala.
6. I tre grandi nomi di Dio di quattro lettere che si incontrano per mezzo di un miracoloso trasferimento di proprietà nei libri segreti dei cabalisti vanno fatti corrispondere alle tre persone della Trinità così: Eheyeh (Io Sono) è il Padre, YHWH è il Figlio, e Adonai è lo Spirito Santo. Lo può capire chi molto ha approfondito la Cabala.
7. Nessun ebreo cabalista può negare che il nome di Gesù, Yesu, interpretato secondo i metodi e i princìpi della Cabala, significa esattamente tutto ciò che segue: Dio, Figlio di Dio, e Sapienza del Padre per via della
terza persona della divinità, che è ardentissimo fuoco d’amore, unito alla natura umana nell’unità di ciò che è sottomesso.
14. Per mezzo della lettera Shin, che sta al centro del nome YhSwh (Gesù), ci viene cabalisticamente comunicato che il mondo fu integralmente in pace, raggiungendo la sua perfezione, quando lo Yod (la prima lettera del nome) si congiunse col Vav (la quarta lettera del nome), cosa che è avvenuta in Cristo che fu vero Dio e Uomo.
15. Per mezzo del nome ineffabile Yhwh, che i cabalisti sostengono essere il nome del Messia che deve venire, si comprende con tutta evidenza che lui sarebbe stato Dio, Figlio di Dio, grazie allo Spirito Santo, e che dopo di lui il Paraclito sarebbe disceso sugli uomini, a render perfetto il genere umano.
16. Dal mistero delle tre lettere contenute nella parola Shabbat (Sh-b-t), possiamo chiarire cabalisticamente che oggi si sabbatizza il mondo, dato che il Figlio di Dio si è fatto uomo, e che da ultimo sarà il Sabayo, quando gli uomini saranno rigenerati nel Figlio di Dio.

In piu’, nella sua opera 900 Tesi (Conclusionesphilosophicae, cabbalisticae et theologicae) Pico scrive: ” Nella lettera shin, che è il secondo nome di Gesù si intende che cabalisticamente il mondo è così come la sua perfezione quando la lettera Yod è unito alla lettera Vav, che si realizza in Cristo che era il vero Dio, figlio e uomo “(Conclusione n. 842).
Possiamo dire che la Shin, all’interno del Formula Pentagrammatica, simbolizza il Cristo, permette alla parola di essere pronunciabile dall’uomo e rappresenta la qualifica iniziatica più importante, per la sua reintegrazione.
Avvicinarsi all’Essenza con desiderio e con volontà, alimentando la fiamma che rappresenta lo Spirito.
E’ un lavoro duro, dentro sè stessi.
E’ l’ alchimia dello spirito, non come semplice operatore alchemico.

7 settembre 2022 e.v. AC Acimoy